Alberto La Rocca, Vittorio Marandola e Fulvio Sbarretti.

Essi erano iscritti al fronte clandestino di Firenze, ma ancora in servizio nella loro casermetta, di dove svolgevano un prezioso lavoro.

I tedeschi li scoprirono e si disposero a catturarli.

I tre militari in qualche modo lo vennero a sapere: sotterrarono le armi e si rifugiarono in certe grotte sulle colline.

Questo accadde la sera dell'11 agosto del 1944.

Il giorno dopo un ragazzo li raggiunse nel nascondiglio e raccontò come i tedeschi, esasperati per aver mancato l'obiettivo, avessero preso dieci ostaggi tra i «borghesi» e che li avrebbero fucilati al tramonto se i carabinieri non fossero stati ritrovati.

Da quel momento, anzi dal momento in cui i carabinieri s'incamminarono verso Fiesole, tutti e tre in silenzio, tutti e tre senza esitazioni, essi entrarono nel ristretto numero degli uomini grandi.

Potete immaginare quale tentazione di vivere quei giovani abbiano avuto a ognuno dei moltissimi passi che li conducevano verso il plotone d'esecuzione, e che tuttavia muovevano, uno dopo l'altro.

Arrivarono in tempo alla loro caserma e non dovettero attendere molto.

Furono rinchiusi nello scantinato di un albergo e dopo trenta minuti fatti uscire all'aperto, insieme.

Li fucilarono (o meglio li mitragliarono) appena si trovò un terrapieno dove far finire le pallottole non intercettate dai loro corpi.

I due episodi hanno in comune l'esasperazione di un patto di lealtà tra carabinieri e innocenti: un concetto che si avvicina moltissimo a quello del «prossimo», nel significato che aveva quasi due millenni or sono nella più affettuosa predicazione d'amore universale che sia stata mai fatta.